Andrea racconta nelle sue immagini l’attenzione alla forma che viene dalla sua professione di architetto e la ricerca di racconti.
Questi racconti hanno il denominatore del sogno, del richiamo alla nostalgia di un sentirsi viaggiatore visivamente privilegiato grazie alla meraviglia stessa insita nei luoghi, alla scoperta di una città decadente, pericolosa e fascinosamente trasandata, o di angoli poco noti delle grandi metropoli.
Le immagini indagano una bellezza sconfinata rappresa nei dettagli, rendono la quotidianità un mondo altro, fermano persone e paesaggi per dare la memoria delle piccole cose.
Trattenere le memorie è in fondo uno dei compiti della fotografia, il medesimo rovello che nei Dialoghi con Leucò tormenta Cesare Pavese che scrive dell’importanza di dire a se stessi: “Quest’ho fatto. Quest’ho veduto”, chiedendosi “cos’hai fatto veramente, che cos’è stata la tua vita, cos’è che hai lasciato di te sulla terra e nel mare? A che serve passare dei giorni se non si ricordano?
Di Stefania Portinari
Sulla composizione:
Le fotografie di Andrea Garzotto costituiscono i frammenti di un discorso visivo contemporaneo del quale, lo si sappia o no, siamo partecipi tutti. Nel suo scarno bianco e nero artigianale, Andrea ritaglia pezzi, residui, scarti di reale, porzioni di una visione sgualcita e scorticata, dal quale non ci aspettiamo nessun messaggio consolatorio.
Andrea interroga soprattutto la città: la sua seconda (o terza? o quarta?) vita di architetto affiora inconsciamente non solo in questa scelta, ma anche nel modo in cui gli oggetti –o meglio, i loro frammenti- si organizzano all’interno del quadro. Ma non c’è calcolo né simmetria nella sua ricerca: il detrito, il residuo, la porzione, non rispondono all’appello classico delle regole auree. Ciò che lo guida in questo percorso errabondo è una ragione appassionata, una passione dello sguardo che governa la sua mano e ferma l’istante. La chirurgia dei tagli inferti al paesaggio visivo viene così equilibrata dal romanticismo del suo cervello ottico: le superfici e gli spazi inquadrati nelle foto di Andrea appaiono come accarezzati dall’obiettivo meccanico con una sorta di lievissimo tocco malinconico. Quasi tutte le prospettive inquadrate si presentano, per un precisa scelta filosofica, come incombenti, subìte e patite in forma di un’accentuata vertigine inversa.
Di Giuseppe Santonocito
Andrea è nato a Vicenza nel 1981.
Architetto e fotografo freelance, collabora dal 2007 con lo studio ASA di Flavio Albanese.
Contatti:
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[+39] 340 7813636